Mamma e Bambino

Perché non parli? I bambini "parlatori tardivi"

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Sebbene lo sviluppo del linguaggio nel bambino segua delle tappe ben precise capita che non vengano rispettate dal bambino con la comprensibile ansia e paura che ne conseguono nei genitori.

Questi bambini - definiti “parlatori tardivi” - se pur curiosi, vivaci e intelligenti, mostrano delle differenze rispetto ai loro coetanei nelle abilità linguistiche.

Partendo dal presupposto che ogni bambino è un mondo a sé e potrebbe aver bisogno di più tempo per iniziare a parlare approfondiamo questa tema con l’aiuto dell’esperta: Azzurra Morrocchesi, Logopedista dei centri medici TAGES per capire cosa significa realmente DPL – Disturbo Primario del linguaggio e quale percorso si può intraprendere.

Azzurra Morrocchesi

Logopedista, con Master in Neuroscienze delle disabilità Cognitive (2010), corso di specializzazione I Disturbi del Linguaggio (2015), formazione avanzata in Psicopatologia dell’Apprendimento (2017). Nel 2019 ha conseguito il Master executive in Psicopatologia dell’Apprendimento in età Adolescenziale e Adulta. Figura tra i clinici in Italia con alta Formazione per il trattamento dei DSA attraverso strumenti Teleriabilitazione la piattaforma RidiNet. Nel campo del trattamento delle difficoltà di Apprendimento svolge attività di ricerca applicata alla clinica.

Grazie alla formazione specifica svolge l’attività di Logopedista nell’ambito prevalentemente delle difficoltà e dei disturbi dell’apprendimento e del disturbo primario del linguaggio, presso il Poliambulatorio Fisiolab e presso Tages Onlus - Firenze, struttura privata accreditata dalla regione Toscana per il rilascio di certificazioni dei disturbi specifici dell’apprendimento dove si occupa della valutazione funzionale logopedica e della stesura del piano di trattamento in equipe multidisciplinare. È socia AIRIPA, Associazione Italiana Ricerca e Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento e socia FLI, Federazione Logopedisti italiani.


Come si manifesta il ritardo del linguaggio?

"Quando parliamo di linguaggio bisogna in primis essere a conoscenza di quanto avviene nello sviluppo linguistico tipico, sappiamo che pur evidenziando una notevole variabilità individuale nello sviluppo tipico si osserva un percorso comune. Non tutti i bambini però, seguono le tappe di sviluppo tipico del linguaggio, alcuni di essi possono presentare un ritardo, altri uno sviluppo deviante. I disturbi di linguaggio e di comunicazione costituiscono il disordine dello sviluppo più frequente in età evolutiva."

Intervenire precocemente è importante ma quali sono i campanelli d’allarme di un possibile disturbo e quando invece è lecito parlare di differenze individuali?

"Rilevante è l’identificazione precoce dei bambini con ritardo nello sviluppo del linguaggio e con disturbo primario del linguaggio al fine di ridurre il rischio di successive difficoltà ma soprattutto per garantire a questi bambini la possibilità di comunicare e relazionarsi in modo adeguato con gli altri. Il ritardo del linguaggio rappresenta una delle più frequenti cause di consultazione dei servizi e dei centri di valutazione del neuro sviluppo. Molti di questi bambini che si rivolgono ai servizi e ai centri dedicati all’età evolutiva hanno meno di tre anni e presentano una ridotta dimensione del vocabolario espressivo (producono poche parole) e vengono definiti parlatori tardivi, late talkers; in assenza di altre condizioni concomitanti. La maggior parte di questi bambini hanno poi una prognosi buona, vi è però un sottogruppo di bambini a maggior rischio di ritardo persistente e di Disturbo Primario del Linguaggio. Alcuni campanelli di allarme possono essere rappresentati precocemente dall’assenza della lallazione e da una scarsa comunicazione gestuale. Particolare attenzione richiedono le difficoltà a livello della capacità di comprendere il linguaggio. Per quanto riguarda il vocabolario, la produzione delle parole, si può parlare di ritardo nello sviluppo del linguaggio quando si ha una produzione inferiore alle 50 parole intorno ai 24 mesi. Successivamente, ai tre anni d’età, può destare attenzione nel genitore una scarsa capacità di formulare frasi complete o nell’ esprimersi in modo chiaro. In presenza di questi indicatori si può ipotizzare un ritardo del linguaggio è pertanto consigliato intervenire per aiutare il bambino."

La diagnosi come viene effettuata?

"Il percorso che conduce alla diagnosi di Disturbo Primario di Linguaggio prevede una fase in cui vengono identificati bambini “a rischio” di sviluppare una difficoltà persistente di comunicazione e un’altra, successiva, per la valutazione del livello e del tipo di deficit persistente nel linguaggio, per arrivare poi alla progettazione del trattamento logopedico. I quattro anni è l’età nella quale è consigliato effettuare la diagnosi di Disturbo Primario di Linguaggio questo però non significa che sia necessario aspettare tale età per parlarne con il pediatra o per recarsi dal logopedista."

"Negli ultimi anni gli studi scientifici hanno sottolineato l’importanza di una presa in carico precoce, la diffusione di questi problemi e l’impatto che hanno sullo sviluppo del bambino ci suggerisce quanto è importante identificare precocemente i bambini a rischio di ritardo nello sviluppo. In primis per evitare al bambino eventuali sofferenze e disagi causati dalla difficoltà di comunicazione con i pari e con gli adulti. I bambini che presentano un ritardo di linguaggio costituiscono inoltre una popolazione a rischio, non solo per difficoltà di linguaggio, ma anche per successivi disturbi emozionali e problemi di apprendimento scolastico."

Quale comportamento è più giusto tenere nei confronti del bambino affinché non ne risenta provando magari frustrazione o scarsa autostima?

"Rispondo a questa domanda con un consiglio che spesso tranquillizza genitori e bambini che hanno difficoltà con il linguaggio e in particolare con la pronuncia di alcuni suoni. Imparare a pronunciare le parole correttamente richiede molto tempo se il bambino dice una parola ma sbaglia la pronuncia, rispondete ripetendo la parola pronunciata correttamente, poi continuate nell’interazione con lui non c’è bisogno di chiedergli di ripeterla correttamente o ancora, tante volte. Fate sperimentare al bambino esperienze positive, questo lo incoraggerà nel parlare."

Quasi sempre ci si avvale dell’intervento del logopedista ma il cosiddetto Parent Coaching, ovvero il contributo dei genitori, quanto conta?

"Soprattutto nei casi di ritardo nello sviluppo di linguaggio nei bambini dai due ai tre anni, la letteratura consiglia programmi d’intervento che prevedono il coinvolgimento dei genitori, attraverso un Parent Coaching, per aiutarli ad imparare a sostenere gli interessi del bambino e da questi partire, per fornire un input linguistico che modella ed espande le produzioni del bambino.

I genitori hanno delle competenze e nella comunicazione c’è una relazione tra due persone, i bambini non imparano a parlare da soli ma gradualmente mentre trascorrono del tempo con le persone importanti nella loro vita, soprattutto voi genitori per questo lasciate che sia il bambino a guidare la comunicazione. L’input linguistico e lo stile comunicativo dei genitori rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo delle abilità comunicative e linguistiche dei loro figli. Per questo un intervento basato su un modello di presa in carico centrato sui genitori (Parent Coaching), sembra particolarmente appropriato per la fascia di età precoce dai 2-3 anni, per l'intervento precoce sul linguaggio, per dare ai genitori strumenti di conoscenza e per aiutare i propri figli a sviluppare al meglio le loro abilità comunicative e linguistiche."

Ci racconta una sua esperienza particolarmente significativa?

"L’esperienza più significativa è sicuramente quella di mamma logopedista, quando ho avuto mio figlio ho capito veramente il senso della frase di cui faccio un “motto” con i genitori dei bambini più piccoli nel mio lavoro quotidianamente, “parlare è un gioco a due”. Ero spaventata e attendevo con ansia la produzione delle sue prime parole dimenticando che la comunicazione e il linguaggio, partono molto prima, si collocano in un continuo che parte dagli sguardi, dall’aggancio oculare, dai vocalizzi e dai gesti con cui il bambino stabilisce i primi contatti con l’interlocutore e cerca lo scambio…la comunicazione. Noi genitori dobbiamo parlare tanto e bene ai nostri bambini, dimostrate il piacere di comunicare a partire dalle situazioni routinarie come vestirsi, mangiare, lavarsi, andare a dormire. Possiamo sfruttare le situazioni che si creano durante la giornata per descrivere e raccontare ciò che ci circonda. Non dimenticate di giocare, ogni gioco può veicolare e sostenere il linguaggio, divertitivi insieme ai vostri bambini, ogni apprendimento è marcato dalla parte emotiva!"

Dott.ssa Claudia Brattini

Dott.ssa Claudia Brattini

All'esperienza di Farmacista ha affiancato quella della divulgazione scientifica nell'ambito della salute, approfondendo tematiche legate alla specializzazione in nutrizione e chimica degli alimenti. E' Giornalista e ha svolto un master di Comunicazione & Digital Marketing Sanitario, Giornalismo e Data Journalism.

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