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Sport, disabilità e qualità di vita: intervistiamo Annalisa Minetti (prima parte)
Annalisa Minetti è un personaggio che non ha bisogno di presentazioni: una carriera straordinaria partita da Miss Italia nel 1997, al Festival di Sanremo l'anno dopo, a cui seguono la recitazione a teatro, la televisione, il doppiaggio e la scrittura.
Ma nel suo percorso ci sono anche due lauree - in Scienze motorie e in Scienze della comunicazione - una carriera straordinaria da atleta e una vita ricca coronata anche dall’arrivo di due figli.
Nel 2012 ha conquistato la medaglia di bronzo nei 1500 metri alle Paralimpiadi di Londra - stabilendo il record mondiale nella categoria ‘non vedenti’ - e la medaglia di bronzo ai Campionati Europei di atletica leggera paralimpica.
Nel 2013 ha conquistato la medaglia d’oro ai Campionati del mondo di atletica leggera paralimpica e negli 800 metri. Nel 2017 ha vinto la medaglia d’oro alla Maratona di Roma.
Annalisa soffre di retinite pigmentosa e degenerazione maculare, una malattia ereditaria degli occhi che l’ha portata ad una graduale cecità.
La sua carriera è a dir poco eclettica, quanto ha contato lo sport nell’equilibro generale della sua vita?
<< Lo sport per me è stato un mezzo realmente riabilitativo, soprattutto nel momento in cui non mi sentivo più forte, perché sopravvivere al grande disagio della deprivazione sensoriale non è un’avventura facile.
Dimostrare a me stessa e agli altri che potevo raggiungere comunque degli obbiettivi nella vita, anche a livello professionale, con grande energia è stato davvero un grande risultato.
Lo sport mi ha riabilitato e mi ha ridonato alla vita, alla quotidianità e perfino in una maniera più espressiva. Attraverso gli insegnamenti dello sport, infatti, oggi so interpretare meglio la vita e soprattutto il dolore, per me oggi il dolore rappresenta un’opportunità. Anche la fatica stessa rappresenta per me un’opportunità, per diventare sempre più forti, del resto un atleta per diventare forte deve in qualche senso anche soffrire. >>
Svolgere attività sportiva migliora di molto la qualità della vita percepita dai disabili che pertanto dovrebbe costituire un diritto per tutti e che sta spingendo sempre di più lo sport all’inclusione.
Che consiglio si sentirebbe di dare ai ragazzi con difficoltà per non arrendersi al dolore (che deriva dalla disabilità stessa) e incentivarli ad affacciarsi ad un’attività sportiva e diventare – citandola - “specialmente abili”?
<< Per essere specialmente abili non bisogna necessariamente essere disabile, ritengo, infatti, che nella vita il disagio si può “vestire di tanti abiti” e possiamo aprire metaforicamente l’armadio del dolore e trovare abiti di ogni genere e misura. Il disagio può essere rappresentato da una sofferenza d’amore, una difficoltà emotiva, la paura di affrontare un nuovo lavoro. Non dobbiamo aspettare una grande sofferenza per poter affrontare la nostra vita in una maniera migliore, ci sono inevitabilmente degli accadimenti nella vita che rendono il percorso impegnativo, sta a noi dare valore al percorso che ci porta a raggiungere le piccole o grandi conquiste di ogni giorno. Ogni nostra fatica merita il giusto valore, ci forma e ci rende forti.
Ecco perché ribadisco che il disagio rappresenta un’opportunità, è un’esperienza di vita come lo è la disabilità.
Quando mi trovo a parlare ai ragazzi – durante conferenze o seminari – rivolgo loro questa domanda: che cos’è più facile per voi tra scegliere una strada piena di ostacoli, arbusti e impedimenti da rimuovere passo dopo passo o prepararvi con delle scarpe robuste per imparare a saltarli gli ostacoli?
Noi dobbiamo saltarli gli ostacoli, dobbiamo affrontare il dolore e questo ci renderà più forti.
Il dolore, il disagio sono sentimenti che sperimentiamo tutti nella vita, per questo penso che i ragazzi non vadano protetti ma “allenati” ad affrontarli. Proprio per questo ho creato un metodo intitolato “Re-Born, rinasci ora” indicato per ogni fascia di età, a partire dall’età evolutiva, per dare la possibilità a tutti di prepararsi, proprio come fa un atleta quando affronta una gara, che se pur non ha la certezza di vincere sa di essersi allenato e farà di tutto per poterlo fare! >>
Una curiosità sul nostro mondo delle farmacie, da atleta, mamma o cantante le capita di affidarsi ai consigli e alle cure del farmacista?
Premetto che consulto la mia pediatra quando è necessario, cercando sempre di non prendere iniziative che potrebbero essere pericolose perché non ho competenze in medicina.
Alle competenze di un farmacista tuttavia mi affido, soprattutto in una prima battuta, spesso affidandomi a cure naturali o ai farmaci senza obbligo di prescrizione se necessario, poi se il problema persiste mi rivolgo al medico o alla pediatra.
È importante avere un farmacista di fiducia, con cui entrare in empatia, soprattutto quando vedo che oltre le competenze c’è una grande motivazione.
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