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La violenza domestica e sulle donne nell'epoca del Covid-19

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La violenza domestica e sulle donne nell'epoca del Covid-19

Solitudine e distanziamento sociale durante il periodo del lockdown hanno visto crescere in modo drammatico i numeri di una malattia sociale, quella della violenza sulle donne.

Per questa ragione - quest’anno - diventa ancora più importante l’adesione alla Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne (25 novembre).

Abbiamo deciso, pertanto, di raccogliere la testimonianza diretta di chi lavora in prima linea per contrastare questo fenomeno: la dottoressa Cinzia Marroccoli, consigliera dell’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, psicologa e presidente dell’associazione Telefono donna di Potenza.

D.i.Re. è la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne, che affronta il tema della violenza di genere. Alla Rete D.i.Re aderiscono 80 Centri antiviolenza in tutta Italia. Grazie alla loro accoglienza telefonica, ai colloqui personali, all’ospitalità in case rifugio, alla consulenza psicologica e legale, aiutano e sostengono le donne nel percorso di uscita dalla violenza.

  • Grazie ai dati raccolti dalla vostra associazione si registra un generale e preoccupante incremento di episodi di violenza domestica nei confronti delle donne, che sottolinea l’importanza di mantenere alto il livello di attenzione su questo problema nella gestione dell’emergenza da Covid-19. Che altri cambiamenti avete notato in questa fase emergenziale oltre l’aumento dei numeri?

Abbiamo sicuramente notato un cambiamento: ci siamo rese conto che nella prima settimana del lockdown in tutti i centri della rete Di.Re. si è registrato un sensibile calo delle richieste. Abbiamo quindi pensato a lanciare una campagna sui social per dire ‘noi ci siamo’, per comunicare che i centri erano comunque aperti.

Poi abbiamo effettuato una inchiesta per capire cosa è accaduto nel periodo specifico dal 2 marzo al 5 aprile e successivamente fino al 3 maggio.

È emerso che il numero delle telefonate da parte delle donne al loro primo contatto con noi, è stato molto inferiore mentre chiamavano molto di più le donne che erano già seguite dal centro. La violenza però c’è sempre stata, non si è fermata con la pandemia, ma la fase di emergenza (unitamente al lockdown) ha spinto molte donne ad accantonare il desiderio di uscire da situazioni di violenza e sobbarcarsi -ancora una volta – il fardello delle responsabilità.

Tutte le donne raccontano che gli episodi tipici dei bambini, come la mancanza del sonno, i capricci o piccoli litigi, sono spesso un fattore scatenante degli episodi di violenza quindi durante la fase di chiusura le donne hanno fatto di tutto per contenere i comportamenti dei figli ed evitare situazioni che potessero innescare ulteriori liti. A tutto ciò si è aggiunto anche il carico dell’assistenza ai minori a casa da scuola o dei genitori anziani da accudire.

  • Come viene offerto il supporto con le restrizioni dettate dalla pandemia?

Molti centri della rete Di.Re gestiscono anche “case rifugio” - che accolgono anche minori - per le donne che si trovano costrette a lasciare la propria casa magari per motivi di sicurezza personale o in fase di separazione.

Durante il lockdown sebbene le case siano rimaste aperte i posti letto si sono ridotti per ovvi motivi di sicurezza e fortunatamente il dipartimento delle Pari Opportunità ha emesso un bando per autorizzarci luoghi alternativi per ospitare e per rifornire i centri di dispostivi di protezione, materiale per sanificare e anche computer per i minori che affrontavano la didattica a distanza.

L’utilizzo della casa rifugio, tuttavia, oggi è meno frequente perché si cerca di gestire a livello pratico e per passaggi anche la separazione o l’allontanamento da casa.

  • Il farmacista rappresenta spesso una figura di riferimento importante e presente in modo capillare nel territorio, che consigli darebbe ai colleghi che si trovano a raccogliere delle confidenze, testimonianze o segnali che lasciano presagire episodi di violenza domestica?

Pensiamo che sarebbe un’ottima iniziativa trovare in farmacia del materiale con i numeri di riferimento o comunque consigliamo al farmacista di fornire sempre il numero nazionale 1522 o il centro locale.

L’approccio da parte di personale non formato potrebbe essere rischioso e a volte entrare nella sfera intima e fornire dei consigli potrebbe generare reazioni indesiderate. Viene spesso indicato di sporgere immediatamente denuncia ma è un passo che va affrontato con cautela e preparazione.

  • Se capitasse, invece, nel quotidiano di ognuno di noi, quali segnali dovrebbero allarmarci e spingerci a fornire un aiuto concreto a un’amica o conoscente che temiamo vittima della violenza?

Darei sempre il consiglio di convincere la persona coinvolta a rivolgersi al centro antiviolenza della sua città, nel nostro caso a Potenza al telefono donna.

Ci capita molto di frequente di ricevere telefonate di conoscenti o amici di una persona vittima di violenza che ci chiedono come fare per aiutare e noi consigliamo sempre di far stabilire un primo contatto diretto con noi.

Spesso dopo il primo contatto seguono altri colloqui a voce. Quello che manca in questo momento è proprio il contatto diretto perché attualmente formiamo assistenza con colloqui da remoto dove però, per lo meno, ci si può guardare nel viso senza mascherina.

  • La volontà delle donne a denunciare è spesso indissolubilmente legata e ostacolata dalla paura: per sé stesse, per il coinvolgimento dei figli -spesso minori – e per le difficoltà economiche. Una donna che denuncia una violenza a quale tipo di tutele ha diritto? E quale iter deve aspettarsi?

Questo rappresenta un problema molto importante e delicato e preferibilmente va costruito un passo alla volta. È molto raro che arrivi una donna già pronta alla denuncia, spesso non ha ancora consapevolezza o non è pronta ad affrontare la fase successiva. Il percorso post denuncia include mettere in sicurezza la donna e i figli, valutare un piano di sicurezza e il rischio concreto che la persona vive.

Nel caso di denuncia, infatti, bisogna comprendere cosa comporterà il processo, ad esempio molte donne ci chiedono se e quante volte dovranno deporre la loro testimonianza.

È molto importante raggiungere la consapevolezza del percorso che si affronta ma è altresì importante sapere che si può contare sul sostegno di chi ti sta aiutando, come il centro che segue la donna in tutto il percorso sia a livello psicologico che legale.

  • C’è qualche caso emblematico di un percorso e di risoluzione che può raccontarci per lanciare un messaggio di positività e di speranza per un futuro che ci auguriamo sia sempre più libero da pregiudizi e stereotipi?

Abbiamo tanti esempi di donne che ce l’hanno fatta e che anche se all’inizio si vede tutto come senza uscita in realtà facendosi aiutare da persone esperte si riesce a uscirne.

Quello che dà forza è che la donna è seguita ma senza imposizioni, un passo alla volta, lavorando molto sulla presa di consapevolezza di quello che significa subire violenza e uscirne sia per sé stesse che per i figli, se ci sono.

La violenza non si riferisce unicamente al caso specifico ma è un fenomeno strutturale, culturale e quindi riguarda tutti noi, è per questo che prendendo per mano la singola donna prendiamo per mano tutte le donne.

In alternativa si possono contattare i centri antiviolenza della rete D.i.Re e di Differenza Donna, tutti offrono anche sostegno legale.

 

https://www.direcontrolaviolenza.it/

 

Dott.ssa Claudia Brattini

Dott.ssa Claudia Brattini

All'esperienza di Farmacista ha affiancato quella della divulgazione scientifica nell'ambito della salute, approfondendo tematiche legate alla specializzazione in nutrizione e chimica degli alimenti. E' Giornalista e ha svolto un master di Comunicazione & Digital Marketing Sanitario, Giornalismo e Data Journalism.

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